Intervista ad Erri De Luca: “Adoro dove la presenza umana è zero”

Intervista ad Erri De Luca: “Adoro dove la presenza umana è zero”

Leggere un’intervista ad Erri De Luca sulla montagna fa bene al cuore. Te la puoi godere grazie a Marco Ferrario di Planetmountain. Come vove questa passione un genio della narrativa? Cosa cerca sulla vetta un uomo di cultura? Le parole di Erri De Luca sulla montagna ti faranno capire che il confronto con la natura selvaggia è un’esigenza di tutti.

Tra le prima arrampicate, i libri ambientati in montagna e la sua idea di solitudine ad alta quota, questa intervista ad Erri De Luca la troverai illuminante. Buona lettura.

Sig. De Luca i suoi libri sono spesso ambientati in montagna o narrano comunque di importanti ascensioni. Qual è il suo rapporto con la montagna?
Ho scritto qualche storia di montagna perché l’ho praticata da scalatore. La mia scrittura dipende dalla esperienza fisica. Vado in montagna con l’intento di allontanarmi da un punto di partenza e raggiungere su qualche cocuzzolo la massima distanza. So che molti alpinisti vanno in montagna per avvicinarsi a qualche presenza rarefatta, per essere più vicini al cielo. Il mio scopo è opposto, salgo per allontanarmi. Il cielo per me resta inavvicinabile e vuoto.

C’è un aspetto che più l’affascina e uno che più la spaventa del vivere la montagna?
Non vivo in montagna, ci passo da intruso, ospite senza invito. Mi piace il suo deserto, raggiungere un punto dove la presenza umana è quasi zero. Là posso vedere il mondo com’era senza di noi e come tornerà a essere. Mi spaventano in montagna i fulmini, perché li conosco.

Come si è approcciato al mondo dell’arrampicata sportiva e non?
Ho cominciato un’estate nei miei trent’anni a voler salire su qualche cima. Mi sono afferrato a qualche cavo di ferrata, ho messo le mani sulla roccia. Al ritorno da quella prima volta mi sono iscritto a un corso di roccia e da allora non ho ancora smesso.

Viaggio uguale infinito, grotta dell’Areonauta. Le ricorda qualcosa?
Ricordo bene la scoperta della Grotta dell’Arenauta tra Gaeta e Sperlonga. Lì ho affrontato i grandi strapiombi, progredendo in difficoltà fino al grande tetto della via che lei mi nomina. Dopo una sezione di 7c iniziano 15 metri di tetto a prese naturali. La via finisce all’esterno della grotta dopo averla risalita dal suo punto più profondo. Il grado allora era 8b+. Avevo 52 anni.

Ci racconti il rapporto tra stringere appigli di roccia e tenere in mano una penna.
Gli appigli sono lì, si tratta solo di passarci sopra. Nella pagina che scrivo gli appigli ce li metto io e disegno un percorso per chi mi sta leggendo.

La montagna e gli altri. Preferisce andare da solo in montagna? Che rapporto si crea tra gli uomini in montagna? Ci sono elementi che sono esclusivi di questo mondo?
Mi piace andare anche da solo, ma pure quando si va in cordata, si passa la gran parte del tempo da soli. La montagna è un materiale isolante. In una scalata come su un palco di teatro conta l’amicizia tra persone di comune intento. Senza questa premessa non mi va di fare quattro passi sul vuoto.

“Il peso della farfalla”, l’intimo rapporto tra l’uomo e gli animali, l’ambiente in cui vive.
Un mondo di rocce enormi, di grandi cime, immense pareti e uomini sempre più forti e pronti a scalarle, cacciatori esperti quanto le bestie nello sviluppare la loro caccia. In un mondo in cui conta sempre più la forza, la prestanza fisica e mentale, che ruolo ha il peso della farfalla? Il peso della farfalla: per me è un racconto sulla decadenza delle forze. Il vecchio camoscio sa che è arrivato alla fine, il bracconiere avverte i propri cedimenti ma non è pronto a morire. C’è nella morte degli animali una dignità semplice e grandiosa, che riusciamo a ammirare senza poterla raggiungere. Il peso della farfalla è l’ultima goccia che completa il carico, non quella che lo fa traboccare. Il peso della farfalla è il momento della verità.

Sente continuamente l’esigenza di scrivere di montagna?
No, è uno dei miei quattro cantoni tra i quali si aggira la mia scrittura. L’ultima volta che ne ho scritto è stato su richiesta da parte di un giornale che dedicava pagine alle Dolomiti. Non sono un maniaco di scalate e con il mio compagno abituale non parlo di appigli, gradi e attrezzature.

Sente l’esigenza di andare in montagna?
E’ un piacere e per me il piacere non è un’esigenza, è un tempo festivo.

Si sente di incoraggiare la “nuova generazione” ad andare in montagna, ad approcciarsi alla scalata, all’alpinismo, agli sport che offrono un rapporto fondamentale con l’ambiente di montagna? Se sì perché?
La montagna è un incontro e gli incontri non si possono prescrivere né raccomandare, avvengono o no. A chi si avvia in montagna chiedo di dotarsi principalmente di fortuna, perché quel posto non è un campo giochi e non è lì per accoglierci. E nessuna esperienza e attrezzatura garantisce l’incolumità.

Frequenta o ha mai frequentato una palestra di arrampicata indoor?
Ho frequentato una palestra di arrampicata per migliorare la preparazione fisica su strapiombi.

Che tipo di pensiero o di giudizio potrebbe dare sul diffondersi sempre maggiore di queste strutture?
Non credo che avvicinino alla montagna, non mi sembra che sono aumentate le presenze sulle grandi pareti. Ma sono un buon esercizio fisico, l’ arrampicata usa tutti i muscoli del corpo e migliora la simmetria. Inoltre ha un valore di terapia per vari deficit di comportamento, incoraggia i timidi e umilia i gradassi.

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