Intervista a Krzysztof Wielicki, la vita sugli ottomila

Intervista a Krzysztof Wielicki, la vita sugli ottomila

Intervista a Krzysztof Wielicki? Parole tutte da leggere se sei amante della montagna. Analizzano la passione ma anche il rischio che c’è quando si abbraccia la natura selvaggia. Certe sfide scaldano il cuore, altre lo fermano. E chi meglio dello storico alpinista polacco può dire la sua su un argomento così delicato?

Da Montagna.tv arriva la pubblicazione di una testimonianza unica che riportiamo col massimo dell’umiltà e la sola voglia di dare una cattedra… al maestro. Stare sugli ottomila non è facile, ha mietuto molte vittime. Ecco perché conviene ascoltare chi c’è riuscito.

Buona lettura.

Prima di entrare nel merito della bella intervista a Krzysztof Wielicki, ricordiamo chi è.

Chi è Krzysztof Wielicki

La sua carriera di alpinista inizia a 17 anni sulle falesie polacche. Nel 1980 compie la prima invernale dell’Everest e nel 1986 quella del Kangchenjunga. Sono storiche anche le vie nuove tracciate in solitaria da Krzysztof Wielicki sulla parete Est del Dhaulagiri (1990) e sulla Sud dello Shisha Pangma (1993), e una incredibile galoppata sul Broad Peak (1984, 22 ore dal campo base alla vetta e al ritorno).

Nel 1996, salendo in solitaria il Nanga Parbat, Wielicki è diventato il quinto alpinista a completare la collezione degli ottomila. Nel 2002 e nel 2018 ha diretto due spedizioni che tentavano d’inverno il K2. Anche brutte esperienze. Nell’invernale al Kangch, dopo l’arrivo in vetta di Wielicki e di Jerzy Kukuczka, Andrzej Czok ha perso la vita per un edema polmonare. Pochi mesi dopo, scendendo dal Makalu, lo svizzero Marcel Rüedi si è spento per sfinimento dopo aver raggiunto la cima insieme a Krzysztof.  

Le parole di Wielicki

Ecco cosa dice l’intervista a Krzysztof Wielicki sugli ottomila:

Per sopravvivere agli ottomila d’inverno ci vogliono esperienza e fortuna

Su Tomek Mackiewicz, che sul Nanga Parbat ha perso la vita nel gennaio del 2018, dice:

Credo che sia stato un errore tentare la vetta con un’acclimatazione insufficiente. Ma per Tomek il Nanga era il Graal

Sul socialismo in Polonia, invece, dichiara:

Con il socialismo, la gente in Polonia viveva male, i negozi erano vuoti, ma noi alpinisti siamo riusciti a fare grandi cose. Per noi è stato il momento giusto. Poi sono arrivati la libertà e la Coca-cola, ma tutti i polacchi, alpinisti compresi, hanno dovuto lavorare

Circa la recente morte di Czok sul Kangchenjunga nel 1986:

Ci ho pensato molte volte in questi anni. Io e Kukuczka eravamo stati da poco sul Lhotse, eravamo più acclimatati degli altri. Andrzej tossiva, era un po’ più lento degli altri, non pensavamo fosse grave. Invece è crollato ed è morto di colpo. Terribile

*** Se ti sta piacendo l’intervista a Krzysztof Wielicki, amerai leggere questa intervista a Hervé Barmasse ***

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